venerdì 9 dicembre 2016

POST REFERENDUM: RAGIONI DEL POPOLO ED ERRORI DELLA POLITICA, O RAGIONI DELLA POLITICA ED ERRORI DEL POPOLO

Le analisi del voto referendario, cioè delle ragioni per il quale il Sì è uscito sconfitto e il No vittorioso, sono tante e talmente variegate e distanti l’una dall’altra che l’unico fattore comune è la conclusione – lapalissiana – che il No ha vinto perché No ha votato la maggioranza degli elettori. Bella scoperta, si dirà! Per me è l’unica conclusione seria e centrata. In democrazia non vince chi ha ragione, vince chi ha i numeri per affermarsi. E ha il dovere, a quel punto, di farsi governo. La discussione sul fatto che il voto sia stato un proclama contro il governo Renzi più che un giudizio di merito sulla riforma costituzionale, è – in questo momento – assolutamente ininfluente. Ma le cose, come sempre nel nostro paese, non sono così semplici. Si dà che il fronte del No sia composto non da un partito o da uno schieramento compatto, ma da una congerie di partiti, movimenti, associazioni e sindacati, uniti solo dal No a Renzi e disuniti da tutto il resto. A complicare la situazione si aggiunga la legge elettorale, che al momento prevede sistemi elettorali diversi per Camera e Senato, e che produrrebbe maggioranze diverse, così che la situazione diventi ingovernabile. Un bel grattacapo per il Presidente Mattarella e per il Parlamento tutto. Ma, si dirà, è il popolo che l’ha voluto, per l’appunto il popolo ha votato a maggioranza per la caduta di Renzi ma non per un nuovo governo o un nuovo programma. Da qui la disordinata corsa ad appropriarsi della vittoria, ognuno per propri calcoli, dalla destra di Salvini che vuole andare ad elezioni subito, succeda quel che succeda che non c’è limite al peggio, a Grillo che vorrebbe far cuocere a fuoco lento il governo in carica e il Pd per poi passare all’incasso fra qualche mese, fino alla sinistra che più sinistra non c’è – la minoranza dem, la Cgil, l’Anpi, l’Arci, Sel e Rifondazione, e mi scusino gli altri dell’allegra compagnia se non li cito – tentati di fondare il nuovo, anzi il vecchio, partito della sinistra protestataria e piagnona, nella sostanza conservatrice. Poiché siamo in democrazia, ognuno può fare liberamente tutte le pensate che più lo soddisfano, se dovessi decidere per il Pd rivendicherei con orgoglio il lavoro fatto in 1000 giorni di governo e terrei la barra diritta verso un governo di responsabilità nazionale di breve durata e verso elezioni nell’arco di qualche mese. Di mezzo ci sarebbe il congresso, nel quale chiarire finalmente che cosa vuol dire stare nel Pd; da semplice iscritto dico solo che personaggi che fin dal primo momento hanno remato contro Renzi e la maggioranza del partito - del tipo di Bersani e Dalema, e loro sodali –, spesso con argomenti pretestuosi e volgari, non sono miei compagni di percorso.

Marino Contardo

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